Foibe ed esodati, il racconto: "Io, ragazzino, cacciato dall'Istria"

barnabà.jpg Concorezzo. Verteneglio d'Istria (in croato Brtonigla, in veneto Vertenejo) è un Comune di 1.607 abitanti della Croazia situato nella parte settentrionale dell'Istria, vicino al fiume Quieto, costruito su un antico castelliere preistorico. Lì, il 4 settembre 1934, nasceva Ezio Barnabà e lì, l'imprenditore che oggi vive in paese in via Monte San Michele, ha vissuto il dramma dell'esodo delle popolazioni istriano-giuliano-dalmate, culminato con l'orrore delle foibe che, ogni anno, il 10 febbraio, trova un momento di riflessione e preghiera nel Giorno del ricordo.

Ottant'anni portati con ferrea energia, Barnabà ha scelto concorezzo.org per raccontare la sua storia e tenere viva la memoria di una pagina di storia troppo spesso dimenticata, sottaciuta alle giovani generazioni e quasi cancellata dai libri di storia.

Orfano di padre dall'età di un anno e due mesi, Ezio viene cresciuto dalla madre insieme ai tre fratelli Aldo, Concetta e Maria, grazie anche al sostegno dello zio Domenico. Quando ancora frequentava le scuole elementari, scoppiò la Seconda Guerra Mondiale: uomini e giovani vennero chiamati alle armi, e i bambini come lui furono costretti a sobbarcarsi il duro lavoro dei campi. "La guerra ha portato orrori e violenze quotidiane - ricorda con lucido orgoglio Barnabà - ma la parte peggiore paradossalmente l'abbiamo vissuta al termine del conflitto. I partigiani comunisti di Tito, che occupavano le terre che poi vennero annesse alla Jugoslavia, hanno dato via alla tristemente nota pulizia etnica. Violenze, espropri ed espliciti inviti a lasciare le nostre abitazioni erano all'ordine del giorno. Per questo mia madre, alla fine, si decise a mandarmi a Trieste, nel Villaggio del fanciullo nel quartiere Opicina". Anche per lui era arrivato il momento dell'esodo forzato. Era il 20 agosto 1951: con il diploma di quinta elementare in tasca, il 17enne Barnabà cercava di costruirsi un futuro.

"Noi non avevano nessuna idea politica - tiene a precisare - il nostro motto è sempre stato "Idee quante ne volete, ma vincoli con nessuno". Ma questo poco interessava agli uomini di Tito. A Verteneglio si parlavano italiano e veneto, e questo per gli occupanti jugoslavi era intollerabile. Ricordo come fosse ieri il rumore di quel "cla, cla, cla" della Mercedes nera con a bordo due o tre uomini dell'Ozna, la polizia di Tito, che veniva a portare terrore e morte in paese. Ricordo l'orrore stampato in faccia a mia sorella Concetta quando un giorno tornò a casa riferendo del pestaggio (a bastonate) del titolare dell'impresa dove lavorava come sarta: gli avevano spaccato ossa e costole". Anche il nonno della moglie di Barnabà, Clemente Piazza, fu costretto a lasciare il paese e trovò rifugio presso la famiglia Illy, lavorando come giardiniere: "Non era persona gradita al regime", ci spiega.

"Tutto questo avveniva in periodo di pace - sottolinea ancora incredulo Barnabà - Ma si è voluto tacere, dimenticare in fretta. I morti delle foibe sono sempre stati morti di serie B: questo è inaccettabile. Per questo il Giorno del ricordo va celebrato: bisogna sapere, conoscere e non dimenticare". Proprio peril tentativo di cancellare questa orribile pagina di storia, le cifre della tragedia non sono mai state chiare: gli storici concordano nel certificare che le vittime uccise nelle foibe furono "diverse migliaia", mentre per gli esuli si parla di un minimo di 200.000 persone fino ad arrivare a 350.000.

Barnabà, che sognava un futuro da meccanico, ha imparato a fare il tornitore. Da lì si spostò in Lombardia, a Seriate (BG), nelle case dei profughi istriani. Quindi il lavoro alla Ercole Marelli a Sesto e l'acquisto di una casa a Milano insieme alla moglie. A Monza Barnabà, che viveva a San Rocco, divenne rappresentante di abbigliamento e corsetteria, fino al grande salto: l'apertura di una azienda di confezioni nell'area dogana di Concorezzo, con due capannoni e diversi dipendenti. 

Barnabà ha letto con attenzione il messaggio del sindaco Riccardo Borgonovo agli studenti, un messaggio che ha voluto unire l’orrore della Shoah a quello delle foibe. “L’ho apprezzato e lo ringrazio, non esistono e non devono esistere morti di "serie b" o dimenticati”.

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